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Il David di Michelangelo: quali diritti?

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IMG_0281Con un provvedimento che ha fatto scalpore (questo giornale ne ha parlato qui) il tribunale di Firenze ha vietato ad un operatore turistico l’impiego dell’immagine del David di Michelangelo.

Stando a quanto si legge nella decisione, l’immagine veniva riprodotta sui biglietti di ingresso a vari musei, tra cui la Galleria dell’Accademia, che ospita la celebre scultura.

Il Ministero dei beni culturali, ritenendo che la riproduzione dell’opera a questi fini fosse illegittima, si era rivolto al giudice chiedendo la cessazione dell’illecito, con la distruzione di tutto il materiale pubblicitario  recante l’immagine e l’oscuramento del sito web dell’agenzia, accusata anche di rivendere i biglietti a prezzi maggiorati.

La decisione, resa senza contraddittorio (l’agenzia turistica ha preferito non difendersi), è stata commentata con favore sia dal Ministro coinvolto, sia dalla direttrice del Museo.

Per chi si occupa di tutela dei beni immateriali, tuttavia, il ragionamento del tribunale di Firenze mostra qualche falla.

La prima, e la più rilevante, deriva dal richiamo al Codice dei Beni Culturali, che secondo la decisione attribuirebbe al soggetto che ha in consegna un bene artistico il diritto di vietare la riproduzione della sua immagine a fini commerciali.

Esisterebbe quindi una sorta di diritto di autore o copyright (di queste nozioni abbiamo parlato qui) sulle immagini dele opere conservate nei musei italiani, o comunque sul territorio italiano.

Questo diritto deriverebbe dagli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali; queste norme, tuttavia, sono state introdotte al fine di consentire a chi custodisce le opere di tutelarne l’integrità fisica, ad esempio disciplinando l’autorizzazione di calchi, o l’impiergo di luci o altri strumenti di ripresa professionale,

Un filone giurisprudenziale, sposato in passato anche dalla corte di Cassazione, ha tuttavia ampliato i confini e gli scopi delle norme, aprendo la strada a decisioni come quella del tribunale di Firenze.

Nulla di male, si potrebbe pensare: alla fin fine questo diritto sui generis viene impiegato per ostacolare l’attività di un bagarino, in attesa di dotarsi di una normativa efficiente in materia di secondary ticketing.

La lettura della decisione conferma questo approccio pragmatico: il giudice non si preoccupa di approfondire l’origine, la natura ed i limiti  del diritto esclusivo azionato, lasciando semplicemente intendere di provare poca simpatia per l’attività dell’operatore turistico coinvolto nella vertenza.

Dobbiamo però chiederci se sia davvero ragionevole attribuire agli enti pubblici che “hanno in consegna” beni culturali il diritto esclusivo di autorizzare l’uso delle relative immagini.

La creazione di questo diritto, che non ha corrispondenti in altri Paesi, rischia di ingessare lo sfruttamento delle immagini dei beni culturali custoditi nelle città e nei musei italiani.

Non sempre attribuire diritti esclusivi favorisce  uno sfruttamento virtuoso delle risorse su cui si appuntano quei diritti. I rischi sono ancora maggiori quando, come in questo caso, i diritti sono privi di limiti e si risolvono nel potere incondizionato ed apparentemente perpetuo di autorizzare, o vietare, l’impiego di certe riproduzioni.

Questo potere è persino più ampio di quello conferito agli autori delle opere dell’ingegno dalla nostra legge sul diritto di autore, che sconta invece una serie di limiti ed eccezioni.

Quei limiti, messi a punto anche grazie a decenni di evoluzione normativa, consentono una coesistenza armoniosa tra diritti esclusivi e utilizzazioni delle opere dell’ingegno.

Sovrapporre a questa delicata costruzione un ulteriore ed autonomo diritto esclusivo, attribuendone la gestione a funzionari pubblici, rischia di pregiudicare un equilibrio  virtuoso e di ostacolare lo sfruttamento del nostro patrimonio artistico.

Un risultato, questo, opposto a quello che verosimilmente si proponeva di ottenere il tribunale di Firenze.

Gualtiero Dragotti


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